Amandola: la storia

PANORAMICA DEL TERRITORIO

 
Situata sulla sinistra orografica del fiume Tenna, nel versante orientale del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Amandola rappresenta uno dei centri più importanti, per le risorse storico-culturali, per le valenze ambientali e paesaggistiche.Il centro storico, adagiato sui tre colli, Marrubbione, Castel Leone, Agello, con il suo comporsi di architetture civili e religiose, gli imponenti e sontuosi palazzi, i più nascosti e graziosi vicoli, raggiunge i 550 metri s.l.m. dove la tradizione vuole si trovasse un leggendario mandorlo, assurto ad emblema del Comune. Il territorio di Amandola, si incunea triangolarmente tra quello dei Comuni di Montefortino e Sarnano, andando a toccare al vertice la linea di cresta dei Monti Sibillini, alla quota di 1895 metri di altitudine, per poi aprirsi ed abbracciare l'alta Valle del Tenna e scendere attraverso un susseguirsi di colline fino a 300 metri s.l.m. La molteplicità dei paesaggi che caratterizzano questo territorio, è uno degli elementi che lo rendono straordinario; le creste aspre e selvagge della dorsale montuosa, le valli disegnate dalla forza dei fiumi, i piccoli borghi sapientemente incastonati, il centro storico in cui si mescolano in un unico respiro, passato e presente. Tutto ricorda il millenario rapporto tra uomo e natura, che si sono saputi adattare l'uno all'altro, disegnando un dipinto a due mani di mirabile bellezza. Considerata a buon diritto la" porta est" di accesso al Parco Nazionale dei Monti Sibillini,con il Museo Antropogeografico, offre l'opportunità di conoscere tutti gli aspetti che compongono l'ambiente, avendo poi la possibilità di rinvenirli ed osservarli nel territorio. Amandola è un paese, in cui vivere natura e cultura, in cui recuperare il ritmo del tempo è possibile, andando a ricercare quei valori custoditi come tesori nelle dinamiche della natura ed in quelle della storia dell'uomo.

STORIA
 
Le origini
Che il comprensorio montano dell'alta valle del Tenna abbia svolto un importante funzione di snodo viario e di punto d'incontro fra genti diverse, lo provano i ritrovamenti del cippo di centuriazione di epoca augustea, rinvenuto nel 1955 in contrada Cerrara ai confini con Sarnano e i recenti ritrovamenti del 2006 di una piccola necropoli in località Spiazzette con una lapide funeraria e un gigantesco sarcofago, ma soprattutto il dinos, emerso fortuitamente alla fine dell'ottocento in località Piane.
Questo ultimo ci indica che questo territorio era popolato già in età preromana, vari rinvenimenti infatti attestano la presenza di sepolcreti piceni ma soprattutto ci confermano che qui si svolgevano scambi culturali, non limitati alla cerchia locale, da parte di un ceto aristocratico che mirava ad esibire l'alto grado di benessere raggiunto.
Il dinos, ora al Museo Nazionale delle Marche di Ancona, è composto da un recipiente bronzeo usato nei banchetti o cerimonie per contenere liquidi, sostenuto da un treppiede; di verosimile importazione si fa risalire al V secolo a.C. Il cippo di centuriazione invece attesta il processo di colonizzazione romana dell'ager pedemontano; sulla sua superficie infatti sono incise due rette identificate con la lettera D e K, rispettivamente il Decumano ed il Cardo, due termini gromatici ( da groma, un asse usato per traguardare il terreno sul quale venivano tracciati i confini) che definiscono un territorio centuriato, ossia suddiviso in pezzi di terra di circa 700 metri ciascuno. La piccola necropoli rinvenuta nel 2006 durante i lavori di aratura da Ezio Gravucci e subito segnalata al Centro Culturale DINOS, attesta ulteriormente la presenza romana nel territorio. Il sito ha portato alla luce una stele funeraria con caratteri in stile capitale databile presumibilmente intorno al I°-II° sec. d.C., nonché un gigantesco sarcofago in materiale tufaceo e una tomba alla “cappuccina”.

L'età comunale
Uno dei documenti più importanti per delineare la storia antecedente la formazione dei comuni è senz'altro la Carta del 977, compresa nel Codice 1030 dell'Archivio Diplomatico di Fermo.
Con tale atto si attesta la concessione in enfiteusi, fino alla terza generazione, da parte del vescovo di Fermo Gaidulfo, di ampi territori che si estendono lungo la vallata prospiciente il monte Castel Manardo, abbracciando i comuni di Comunanza e Montefortino ed avendo come confini le proprietà dei farfensi di S. Vittoria in Matenano.
L'importanza di questo documento si basa nell'aver identificato le due figure principali, i due attori per così dire della storia di questo XI secolo, ossia il vescovo di Fermo ed il conte Mainardo, dell'antica aristocrazia longobarda (Pagnani,1985) o franca (Allevi,1970), capostipite di una lunga teoria di famiglie comitali, spesso imparentate fra loro, che cercheranno di farsi largo acquisendo il potere signorile su ampi territori o entrando in conflitto con i nascenti Comuni.
In questo panorama estremamente instabile e rissoso l'azione del vescovo sarà quella di sottrarre proprietà e vassalli dal controllo della nobiltà dei castra appoggiando e proteggendo la nascita delle comunanze. A questa azione si deve la nascita di Amandola ma anche di altri comuni circostanti.
 
Capitolato dell'arte della lana
La industria laniera costituisce l'ossatura economica del Comune. In realtà l'attività mercantile si esplica su più piani non individuando nel solo settore tessile quello unicamente significativo, anzi l'impegno economico si concretizza sia nell'ambito agro-pastorale che in quello tessile e spesso addirittura anche in quello notarile (Gobbi,2001).
Un esempio eclatante in tal senso è rappresentato dalle poliedriche attività commerciali del pittore amandolese Giulio Vergari ( 1480 ca-1560 ca).
La ricerca documentale (Gagliardi, 2002) ci mostra un personaggio le cui “…rendite fondiarie, il notariato, il prestito di denaro, il commercio del grano e di altre lucrose attività imprenditoriali e professionali hanno favorito l'ascesa politica e sociale della famiglia ‘Vergarius' …”.
Già nello Statuto del 1336 le Corporazioni risultavano suddivise in sei classi, ciascuna retta da un capitano nominato per estrazione pubblica, non solo, ma tali Corporazioni assumevano una tale importanza da precedere addirittura le autorità civili nelle processioni religiose.
Il Capitolato dell'Arte della Lana, steso nel 1463 fra i rappresentanti comunali ed i mercanti locali, regolava rigidamente l'ingresso di nuovi imprenditori nella Corporazione, le fasi di lavorazione, i materiali impiegati e naturalmente il risultato finale, che doveva essere conforme a standards ben definiti e confermato da appositi addetti: “i rivedituri”.
Accanto al lavoro artigianale, attivi programmi di messa a coltura delle terre incrementano sia l'agricoltura che la pastorizia, entrambe strettamente collegate allo sviluppo dei commerci.
Lungo il versante adriatico dei Sibillini la eccessiva polverizzazione dei proprietari impedisce l'accentrazione di grandi greggi in poche mani, rendendo più fragile l'economia derivante dalla pastorizia e quindi più soggetta alle crisi cicliche demografiche e di penuria economica(Gobbi, 2001).

Crisi politica ed economica dei secoli XVI - XVIII
La crisi economica interessante tutta la Marca fin dal XVI secolo va ad incidere su di un'economia locale già pesantemente sottoposta all'azione di carestie (negli anni 1520, 1590 e 1648) tanto da spingere il Comune ad acquisire pascoli montani, favorire la costituzione di un Monte Frumentario e ridurre la pressione fiscale.
Il minor peso della pastorizia comporterà un progressivo impoverimento delle fasce montane rispetto a quelle collinari creando così la base per il futuro sviluppo di queste che costituiranno il punto di arrivo delle dinamiche di emigrazione all'interno del territorio stesso.
A quella economica, ed in parte conseguente, si aggiunse una grave crisi politica sostenuta dalla curia romana che, nell'intento di porre sotto il proprio controllo le numerose realtà periferiche attraverso la istituzione della Congregazione del Buon Governo, finì col bloccare lo sviluppo non solo produttivo, ma anche sociale, con conseguenze tanto durature da protrarsi sino al XIX secolo.
Uno degli effetti più evidenti di questa congiuntura fu sicuramente la crisi demografica a cui andò incontro tutto il territorio montano tanto da doversi drasticamente ridurre il numero dei Consiglieri dall'iniziale 240 del XVI secolo agli 80 del secolo successivo, ai 40 degli inizi del ‘700, ma già cinquant'anni dopo il Consiglio, sempre composto dalla classe nobiliare, doveva essere integrato da componenti di altri ceti sociali quali gli artigiani ed i contadini possidenti.

Dall'invasione francese all'Unità d'Italia
Questo territorio entrò bruscamente in contatto con l'esercito francese d'invasione del generale Gardenne nel giugno del 1798 in occasione dello sfortunato tentativo di resistenza civile presso la frazione Rustici, lungo la via per Sarnano.
La resistenza, fallita, si concluse con la fucilazione di 11 contadini e sottopose il Comune alla rappresaglia che si protrasse per tre giorni (dal 21 al 23 giugno) e si concluse con il triste episodio della profanazione della tomba del Beato Antonio.
Nell'ambito della suddivisione in Cantoni operata dall'amministrazione transalpina, Amandola era stata inserita quale capofila di una serie di comuni (fra cui Comunanza, Montefortino, Montemonaco, Montegallo) e tale organizzazione permarrà poi nel tempo anche dopo la restaurazione dello Stato della Chiesa.
Infatti nel nuovo assetto (1817) il Comune verrà definitivamente scorporato dalla Delegazione di Macerata e affidato a quella di Ascoli; tali suddivisioni formeranno la struttura amministrativa del territorio montano sino all'Unità d'Italia.
Diverse ed importanti variazioni urbanistiche cambieranno il volto del paese delineando così, nelle linee fondamentali, quello che è l'assetto odierno della cittadina. La piazza del Risorgimento assumerà importanza sempre maggiore per il progressivo spostamento del centro amministrativo ed economico dal settore più antico (l'odierna Piazza Umberto 1°) all'attuale. Ciò comporterà l'avanzamento, nel 1836, dell'antica porta S. Giacomo a chiudere il semicerchio della piazza, l'abbattimento del convento interno dei monaci di S. Vincenzo ed Anastasio con l'annessa chiesa (1807 – 1836) edificati nello spazio retrostante il Municipio (attuale piazzale Ferranti) e la definitiva demolizione della porta Marrubbione sita a fianco del campanile di S. Agostino.
Nella seconda metà dell'ottocento inoltre si procederà all'apertura delle strade per Ascoli (1862), per Servigliano (1869) e verso la montagna (1882) e solo agli inizi del novecento si procederà alla costruzione della ferrovia Amandola-Porto S. Giorgio.


Il Novecento
Nell'ultimo conflitto bellico questo territorio sarà teatro di aspre scaramucce fra i nuclei di resistenza partigiana e l'esercito tedesco.
Nell'ottobre del '43 uno di questi episodi si conclude con la fucilazione in piazza del partigiano Angelo Biondi. L'anno successivo in seguito ad una breve imboscata, una nuova rappresaglia verrà effettuata presso la frazione Tofe di Montemonaco.
La ricostruzione del dopoguerra vede la crisi delle forme tradizionali di attività produttive con progressivo impoverimento della popolazione e conseguente flusso migratorio verso le aree ad incipiente
industrializzazione; questo comporta un esodo che, solo ad Amandola, determina un calo vertiginoso al ritmo di circa 1000 abitanti per decennio (Egidi, 1980) dal 1950 al 1970, con relativo assestamento della popolazione ai 4064 abitanti del 1988. Attualmente Amandola ha una popolazione di 3969 abitanti.
Nell'ultimo decennio, grazie anche all'istituzione del Parco Nazionale dei Monti SIbillini,si sta avendo un deciso incremento del flusso turistico, potendo apprezzare nel nostro paese, sia il fascino della storia, che la bellezza dell'ambiente.
 
ALCUNE MANIFESTAZIONI IMPORTANTI
 
Carnevale De Li Paniccià
domenica antecedente il martedì di carnevale
Il "Carnevale de li paniccià" è l'insieme delle iniziative che si tengono ad Amandola in occasione del Carnevale. Il nome deriva dall'attività di tintori di stoffe (panni) che era fiorente ad Amandola nell'antichità . La festa culmina in particolare con due appuntamenti: la sfilata dei carri allegorici ed i gruppi mascherati, che si tiene la domenica antecedente il martedì di carnevale ed il falò di re Carnevale, che si tiene "martedì grasso".

Processione delle Canestrelle
penultima domenica di agosto
Rievocazione storica dell'offerta del grano al patrono della città in segno di ringraziamento per il buon raccolto. Si svolge appunto in occasione dei festeggiamenti in onore del Beato Antonio e consiste nella sfilata per le principali vie del paese, adornate con spighe di grano e papaveri, di uomini e donne che, vestiti con costumi d'epoca della cultura contadina, portano al beato gli uni i covoni di grano, le altre in equilibrio sulla testa, i panieri (canestrelle) ricolmi di grano.

AmandolaFestival (Festival Internazionale di Teatro, Musica, ecc)
Altra manifestazione culturale di Amandola è il Festival Internazionale di Teatro. Nato oltre 20 anni fa, ha visto affluire ad Amandola schiere di artisti che si sono esibiti in performances rimaste memorabili, sia sul palcoscenico, che nelle case e nelle piazze. Particolarmente seguita la rappresentazione della "Community Play", realizzata da gente comune, debitamente preparata nei giorni precedenti il festival. Da quando è stato riaperto il TeatroLa Fenice, si tiene una Stagione Teatrale con spettacoli e serate sopratutto durante il periodo invernale.

Mostra Mercato del Tartufo Bianco pregiato dei Sibillini
1 e 2 novembre
La mostra mercato del tartufo bianco pregiato dei Sibillini è nata per la valorizzazione appunto del tubero che nasce e viene cavato nell'area dei Monti Sibillini. In occasione della iniziativa si svolgono altre manifestazioni collaterali sempre legate all'agricoltura come la mostra mercato dei prodotti tipici e biologici della zona del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e la mostra mercato di macchine, attrezzature ed articoli tecnici per l'agricoltura. Alla manifestazione sono generalmente legate anche mostre d'arte e dell'artigianato artistico locale legato alla lavorazione del legno, del ferro battuto, del rame, del merletto a tombolo, della ceramica e della terracotta.
 
 
BENI CULTURALI E MUSEI
 
Chiesa di S. Francesco con annesso chiostro ed oratorio del Ss Rosario
La presenza dei Conventuali Francescani ad Amandola è attestata da un documento del 1265 (Ferranti,1985). La tradizione vuole che dalla sede originaria in S. Maria Sterparia, posta lungo la cinta muraria, come avvenuto in casi analoghi, il passaggio nel territorio di San Francesco (Pagnani, 1983 ) abbia coinciso con il trasferimento dei frati presso la sede definitiva, a ridosso del Castel Leone. Evidentemente il riflesso della povertà francescana doveva coinvolgere anche la costruzione precaria dell'edificio, che quindi già nel 1313 richiedeva radicali trasformazioni tanto da renderne necessaria la riedificazione, come accertato da un'epigrafe murata sulla facciata; il 1352 sanciva la sua consacrazione col titolo definitivo di S. Francesco (Statuti Comunali, 1336). L'edificio ad unica navata, semplice nella sua struttura architettonica, termina con un'abside poligonale.
Sulla facciata rettangolare con coronamento a timpano, si apre il portale di tipo lombardo con leggero strombo formato da eleganti piastrini tortili alternati e definito da un arco a tutto sesto inglobante una lunetta; sull'architrave la scritta: "MCCCCXXIII FACTUM TEMPORE M.RI ANTON. (ius) EGIDIJ" che continua, separata da un rosoncino, con "ANTON. (ius) (de) MILANO HOC OP. (us) FECIT". Paraste decorate a racemi definiscono alle estremità l'ingresso, mentre nella sommità del timpano cuspidato, l'Eterno. Le particolari caratteristiche di finanziamento delle opere dei Mendicanti, quali elemosine, lasciti, donazioni, dilatavano oltre misura i tempi di realizzazione, tanto che nel 1429 il portale non era ancora terminato, infatti un testamento del 20 agosto 1429 ne attesta un lascito per il compimento dell'opera. Sul lato destro del presbiterio provenendo dall'ingresso, si apre l'originaria cappella dell'Annunciazione, coincidente col primo ambiente della torre campanaria. Alcune tracce dell'originale decorazione pittorica si apprezzano sulla volta "a crociera" in cui sono raffigurati i quattro Evangelisti mentre sulla parete sinistra, l'unica completamente affrescata, campeggia l'Annunciazione compresa fra le immagini dei Ss. Giovanni Battista e Ludovico;
a completare la superficie una Crocefissione, nel lunettone sovrastante. Nell'intradosso dell'unica monofora S. Bernardino da Siena si contrappone a S. Antonio da Padova. Il confronto corre naturalmente alla teoria di immagini lungo le pareti della chiesa di S. Salvatore in Campi di Norcia (1464), ma ancor più calzante è il paragone con gli analoghi soggetti di S. Maria Bianca di Ancarano, lungo la provinciale Norcia-Preci-S.Eutizio. Opere entrambe della bottega degli Sparapane, di Antonio in particolare, come questa di Amandola eseguita intorno al 1476 . Sullo stesso lato a metà della navata principale si accede alla piccola cappella dedicata a S. Sebastiano. Edificata nel corso degli anni fra il 1486 ed il 1492 da maestranze forestiere, sotto la guida di mastro Venanzio Lombardo, è caratterizzata dalla semplice facciata ornata da due statuette trecentesche raffiguranti l'Annunciazione, inserite ai lati di una Madonna con Bambino in affresco, del bolognese Pompeo Bagnoli, eseguita intorno ai primi decenni del XVII secolo (1620). L'interno, a pianta rettangolare, contiene il maestoso altare ligneo scolpito nel 1653 da Scipione Paris di Matelica (1612 – 1701) e dorato da Giovanni Palocci. E' sicuramente uno dei migliori esempi di simmetria compositiva, nato nell'ambito della produzione di bottega: quattro colonne scanalate, due per lato, decorate per un terzo della base con motivi floreali e terminanti con capitelli corinzi che sostengono un timpano aperto centralmente, su cui si affaccia una colomba circondata da putti. Una cornice scolpita con quindici formelle raffiguranti i " Misteri del Rosario ", dipinti dal Malpiedi, attesta il passaggio della chiesa alla Confraternita del Rosario (1616), costituisce un degno contorno al pregevole affresco quattrocentesco (1492) della "Madonna del latte", opera del pittore ginesino Stefano Folchetti (doc. 1492 - 1513). Di fronte, opera di artigianato locale, la balaustra in legno policromo degli amandolesi Giuseppe e Filippo Benattendi. Nel catino absidale, posta su una croce di recente fattura, campeggia l'imponente statua lignea scolpita secondo i canoni iconografici del Cristo “Triunphans”, cioè trionfante sulla morte nella resurrezione. Proveniente dall'abbazia dei Ss. Vincenzo ed Anastasio, i capelli sono raccolti, lunghi e divisi nel centro, in lunghe trecce. Baffi e barba particolarmente curati definiscono le labbra sottili, il naso è lungo ed aquilino, gli occhi sono aperti ed indossa il "colobium", la tunica medioevale, legata in vita con un doppio nodo, tipica caratteristica sacerdotale. Sul torace un breve incasso, probabilmente fungeva da reliquario. Datato verso la fine del ‘200, le braccia sono state considerate di epoca posteriore (XV sec.), (Pucci Pertusi, 1987). Restauri relativi al pavimento, alla facciata, alle sepolture della chiesa (1623) ed ai lavori nel convento sono confermati da una lapide, in onore del predicatore padre. Andrea Ascenziani, posta a lato dell'ingresso alla cappella dell'Annunciazione. La torre è stata riportata allo stile originale lombardo alla fine dell'800 dopo che un rifacimento barocco ne aveva modificato la struttura. L'attiguo chiostro si dispone su due ordini di arcate poggianti su tozze colonne esagonali; interventi di ristrutturazione sono stati eseguiti nel corso del XVII secolo (prima del 1636) a cui si ricollegano le lunette raffiguranti scene di vita di S Francesco, opera del Ghezzi di Comunanza, con distici esplicativi sottostanti, in cui i blasoni delle diverse famiglie amandolesi sono stati raffigurati quali benefattori dell'opera di restauro.

Abbadia di SS. Anastasio e Vincenzo
Contrapposta all'altra abbazia di S. Ruffino e Vitale collocata a valle, il monastero inizialmente dedicato a S. Maria e S. Anastasio è situato ai piedi del Monte Amandola, a circa 850 m. slm, fra due fossi che successivamente confluiscono a formare il torrente Lera.
Appartenente al Ministero di Monte Calvelli, le prime testimonianze scritte risalgono al 1044 e riguardano la cessione di decime; fra l'altro questa badia non è menzionata nell'atto di enfiteusi a terza generazione fra il conte Mainardo, proprietario di vasti territori della montagna ed il vescovo di Fermo, Gaidolfo, nel 977.
Venne retta sin dai primi secoli da abati appartenenti alla famiglia nobiliare dei Conti Adalberti di Amandola, poi dalla metà del ‘400, data in “Commenda”, con progressivo depauperamento dei possedimenti e definitiva rovina già dalla metà del ‘500.
La planimetria originaria della chiesa prevedeva un'unica navata con copertura “a capriate” e presbiterio rialzato, un'abside quadrata e la sottostante cripta, sorretta da un pilastro centrale a sostegno di una volta a botte, a cui si accedeva mediante due passaggi laterali; una scalinata centrale collegava il piano della nave col presbiterio. Sul lato destro della navata si aprivano delle cappelle i cui archi acuti ancora sono visibili sulla parete di attacco del corpo centrale. Il convento si estendeva lungo il lato di sud-ovest, chiuso da tre parti (attualmente è visibile solo il corpo di collegamento fra le due ali e parte dell'ala destra). Della primitiva torre campanaria, contrapposta all'edificio conventuale, rimane un esile campanile “a vela” fra il corpo della chiesa e la sacrestia (Crocetti,1995).
Già nel 1295 vennero emesse indulgenze per la ricostruzione del convento i cui lavori proseguirono sino agli inizi del XV secolo; successivi rimaneggiamenti si effettuarono nel XVIII sec. forse in relazione all'instabilità del complesso dopo i terribili terremoti del 1703, 1741 e 1771. L'attuale chiesa è costituita invece da quello che in origine era il presbiterio e l'ingresso, soprelevato forse nel 1801, come riportato su di un mattone inserito nella facciata, che è quindi eccezionalmente rialzato e si apre direttamente nell'abside con conseguente capovolgimento dell'asse primitivo della chiesa.
Nell'interno una tela raffigurante la Madonna con Bambino fra i Ss. Vincenzo ed Anastasio, di Domenico Malpiedi, venne commissionata dall'abate Picucci fra il 1607 e 1612, ossia durante l' attività del pittore negli agostiniani di Amandola. Venne trafugata nel 1983, mentre il Cristo ligneo Trionfante posto sull'altare dedicato a S. Antonio abate è ora nella chiesa di S. Francesco

Abbazia dei SS. Ruffino e Vitale
Amandola – Contrada S Ruffino
Altra abbazia diametralmente opposta rispetto a quella dei Ss. Vincenzo ed Anastasio è il complesso dei SS. Ruffino e Vitale, lungo la sponda destra del fiume Tenna.
Il Ferranti (1891) afferma che, in un documento del 20 luglio 1267, i signori di Monte Pasillo (località adiacente a Comunanza), vendendo al Comune di Amandola 180 famiglie con il castello ed il monte di Marnacchia, vollero mantenere intatti i diritti che il monastero aveva su tali beni; dieci anni dopo tale situazione si ripeteva per i beni venduti dai signori De Smerillo.
Queste considerazioni hanno suggerito a Crocetti (1995) che questo monastero fosse di giuspatronato della famiglia di Monte Passillo imparentata, fra l'altro, con i De Smerillo.
Non esiste documentazione antecedente a quella riportata dal Ferranti se non per congiunzioni artistiche rilevate nel tempio ipogeo, grotta, o come riportato da Piva (2003), nella cripta di una primitiva chiesa sulle cui fondazioni è stato successivamente costruito l'attuale complesso risalente all'epoca romanica.
E' questo un ambiente primitivo, coperto a botte e scavato nel tufo la cui unica apertura è costituita da una finestrina posta nella zona absidale; sulle sue pareti è scritta una delle pagine artistiche più antiche della regione che viene messa in relazione con l'analogo percorso liturgico della cripta di S. Vincenzo al Volturno (824-842): una lunga teoria di santi, in parte identificati dal nome, a grandezza quasi naturale e con il palmo delle mani rivolto verso gli astanti, incedono al centro dell'absidiola, ossia verso la mano benedicente dell'Eterno, intersecandosi con l'altro percorso ortogonale al precedente indirizzato, ma le condizioni delle immagini ne rendono difficile la lettura, verso un Arcangelo inscritto in un clipeo (Piva, 2003) come nella già citata cripta di S. Vincenzo.
L' assenza del monastero nell'elenco dei possedimenti menzionati nella concessione in enfiteusi del 977 farebbe supporre una datazione intorno all'XI secolo (Piva, 2003); si discosta da tale ipotesi la Romano (1994) che esprime invece una datazione più tarda, vicino alla metà del XII secolo, in ragione delle caratteristiche di accentuato geometrismo della decorazione affiancate “… ad una tendenza alle proporzioni allungate…” .
La chiesa soprastante romanica, si articola in tre navate distinte da colonne di cui la centrale ricoperta da capriate e le laterali, in origine, da crociere; un alto presbiterio è accessibile mediante una recente scalinata centrale, mentre ai lati due aperture conducono alla cripta sottostante. Questa è caratterizzata da cinque navatelle, di cui quelle laterali più ampie con volte a crociera sostenute da tozze colonne terminanti con pulvino decorato a foglie angolari. Nell'abside centrale, in un contenitore, i resti umani di quello che la tradizione vuole sia S. Ruffino, protettore dall’ernia.
La facciata rimaneggiata, si compone di un portale ai cui lati sono ricavate due finestre mentre quella sovrastante è stata aperta nel XVIII secolo.
La zona absidale, sottoposta a restauri nella parte alta, è composta da un abside centrale scandita da paraste e chiusa in alto da una cornice decorata a beccatelli e denti di sega e due absidi laterali di cui, quella di sinistra, completa, mentre la controlaterale solo accennata (si scorgono ancora nell'angolo fra la torre e la chiesa residui in pietra che farebbero supporre un'altezza simile all'abside principale).
Lungo il fronte sud si sviluppa il convento disposto su due piani di cui quello superiore adibito alle celle monastiche; racchiude un cortile centrale con unico ingresso esterno nella parete est; la torre quadrangolare del XIII secolo, di cui un restauro è documentato nel 1429, permette il collegamento fra il convento e l'edificio religioso; nel prospetto est è ancora visibile lo stemma del Comune di Amandola.

Chiesa di S Agostino (Santuario del Beato Antonio) con annesso chiostro
Sin dal 1301 l'Ordine agostiniano era insediato nell'attuale sito, lungo il clinale del colle Marrubione, uno dei tre rilievi formanti il territorio comunale (Ferranti, 1985).
Dal primitivo romitorio si svilupperanno, grazie a lasciti privati ed a sussidi comunali, il convento col chiostro e la chiesa monumentale che saranno sottoposti a successive trasformazioni nel corso del tempo: l' ampliamento sotto il priorato di Antonio Migliorati (n. 17 gennaio. 1355 - m. 25. gennaio 1450); la decorazione barocca con stucchi, figure allegoriche ed affreschi, rappresentanti alcuni miracoli compiuti in vita dal Beato Antonio, eseguiti nell'arco di tempo fra il 1606 ed il 1612 ad opera del Malpiedi; infine i rifacimenti del '700 che mutarono radicalmente lo stile del fabbricato con l'allungamento del corpo verso la piazza ed il completo rinnovo dell'interno nello stile neoclassico, operato dall'architetto Pietro Maggi fra il 1758 ed il 1782.
Un ' ampia scalinata degradante colma attualmente il dislivello fra il piano stradale ed il piano di calpestio della chiesa, esito dei lavori di rimaneggiamento della piazza eseguiti agli inizi del XIX secolo. La planimetria dell'edificio si compone di un'unica navata con copertura a volta ed in corrispondenza del presbiterio, da un breve transetto, illuminato dalle finestre del tiburio ottagonale, affrescato dal tolentinate Francesco Ferranti (1873-1951) agli inizi del '900.
 L' esterno si presenta come un blocco compatto di alte mura percorse da costoloni mentre uno svettante campanile, completato nel 1464 da Pietro Lombardo (1435-1515), si pone a coronamento della massa architettonica, terminando con una cuspide ottagonale; l'abside rappresenta la parte più antica della costruzione ed è inglobata nel primo piano della torre campanaria.
Della struttura originale rimane il portale opera di "MARINUS CEDRINUS VENETUS SCULTOR MCCCCLXVIII" come riportato nella fascia dell' arco a tutto sesto interposta fra la doppia ghiera; quella sottostante decorata a giralti con grappoli e pampini alternati. L' arco poggia su colonnine tortili e pilastrini in travertino terminanti con capitelli a fogliami. Nella fascia esterna, verticale, sono scolpiti due putti che suonano una tromba, sotto a sinistra S. Monica, a destra S. Agostino, infine alcuni strumenti da calzolaio suggeriscono la probabile committenza: JOHANNES (de) VANNIS appartenente, appunto, alla corporazione dei calzolai. Una vetrata policroma raffigurante il Beato Antonio venne commissionata all'Istituto di pittura di Monaco e posta in loco nel 1900 (Marozzi, 1997).
Sempre di Francesco Ferranti sono un "Esaltazione del B. Antonio" che campeggia al centro dell'abside mentre una "Vocazione del Beato" ed una "Madonna della Cintura" ornano i primi due altari laterali (1906-8). Sempre nell'abside, alcune scene del pittore camerinese Orazio Orazi (1903- 6) rappresentano i "Miracoli del Beato.
Nel 1888 in seguito alla sistemazione della strada provinciale per Macerata, il convento subisce pesanti ristrutturazioni tanto da stravolgerne la struttura; tracce della primitiva decorazione delle lunette (sec. XVII) possono ora scorgersi lungo il corridoio di accesso alla nuova cappella del Beato Antonio ricavata nello spazio sottostante il chiostro originario. All’interno della nuova cappella è conservato, in una teca, il corpo del Beato e su una colonna laterale è posta una “Pietà” in terracotta di arte settentrionale dei primi anni del ‘400.

Chiesa di S Bernardino e convento (Cappuccini)
Provenienti da S Maria della Sportella nei pressi della contrada Vidoni, una frazione a nord-ovest di Amandola, i Cappuccini si stabilirono nell'area edificabile alla sommità del colle Marrubbione, nel 1623.
La presenza dell'Ordine nel territorio risale però fin dal 1540 dopo una delibera comunale che sanciva “…si dovessero accogliere onorevolmente, e loro (i frati ndr) si desse ospitalità …” ; infatti la concessione da parte del Comune alla Congregazione dei Cappuccini prevedeva l'occupazione di una chiesetta preesistente sin dal 1460 sull'altura del Marrubbione, uno dei tre colli del Comune, di cui le monache benedettine avevano il beneficio ecclesiastico.
Ma già due anni dopo (1625) si poneva mano ai lavori di ampliamento dell'edificio con la costruzione del convento e della chiesa; i lavori di sistemazione, nonostante l'ampio contributo di singoli cittadini con lasciti ed elargizioni, doveva ancora completarsi nel 1632.
L'ingresso al tempio è preceduto da una scalinata che conduce all'ampio portico a quattro campate, il prospetto è a semplice ”capanna” con interno a navata unica ed abside piatta.
La numerosa quadreria di cui era dotato il convento venne dispersa durante il periodo napoleonico quando si procedette alla spoliazione di opere d'arte che fortunatamente non vennero esportate all'estero ma finirono in città del nord (Peschiera Borromeo – Milano). Fra queste la tela firmata da Pietro Berrettini da Cortona (1597-1669) raffigurante la Madonna col Bambino fra i Ss. Giovanni Battista, Felice da Cantalice, Andrea e Caterina. Il dipinto era presente in un inventario dei frati del 1728 ma nel 1811 costituiva già la collezione d'opere d'arte della Galleria di Brera a Milano. L'ipotesi affacciata da Briganti circa una primitiva collocazione del quadro presso la chiesa di S. Maria della Concezione di Roma, poi sostituita da un'altra opera del medesimo artista per cui veniva destinata ad un convento “periferico” dell'Ordine, potrebbe scontrarsi con quella che indica il convento amandolese come il destinatario ultimo della tela intorno all'anno 1629 (A.Lo Bianco, 1997).
Completano l'arredamento altre due pale d'altare fra cui una Vergine col Bambino fra i Ss. Francesco e Maria Maddalena ed una Madonna col Bambino fra S. Giuseppe, S. Anna e santo.
Nello stesso anno, 1810, il governo napoleonico procedeva alla chiusura al culto del convento, ma cinque anni dopo non solo l'edificio veniva riaperto ai fedeli ma ingrandito con ulteriori lavori di ampliamento eseguiti nel 1841, 1848 e 1851. Nel 1866 si assiste alla definitiva chiusura con la vendita al Comune (Congregazione della Carità) e quindi a privati. Nel 1890 in seguito ad una convenzione fra i proprietari ed i frati, questi ultimi ritornano definitivamente in possesso del convento.

Chiesa di S. Pietro e monastero di S. Lorenzo (Monache benedettine)
La prima memoria circa la presenza dell'Ordine benedettino femminile ad Amandola è attestata da una pergamena del 1276 in cui si procede alla permuta di un terreno fra il Comune ed il monastero, rappresentato dal “magister Petrus Andreae sindicus loci S. Laurentii”.
La sistemazione definitiva del convento segue le vicissitudini dell'Ordine all'interno del territorio comunale dalla primitiva sede “…intus terram, prope muros comunis, in contrada Fontis Petroniae” , l'odierno rione delle Cinque Fonti, alla ipotesi di sistemazione presso Piazza Alta nel luogo scelto per l'edificazione di una chiesa già dedicata a S. Rocco (1634), ma in seguito, per sopravvenute variazioni nella clausola testamentaria, non più concretizzatesi, sino alla definitiva collocazione nel sito attuale, in contrada Agello, nell'antico ospizio dei monaci di S. Leonardo al Volubrio, poi passato a canonica del priore di S. Pietro in Castagna.
Nel 1779 l'ampliamento del convento comportò l'occupazione delle costruzioni antistanti e per questo motivo, venne costruito il cavalcavia di collegamento fra i due edifici (1780), mentre la chiesa venne ricostruita ed officiata nel 1788 in sostituzione del primitivo edificio, mantenendone la stessa dedicazione.
Come per altri monasteri, anche questo fu soppresso in epoca napoleonica (1810) ma riaperto dieci anni dopo. L'interno in stile neoclassico conserva nei primi due altari laterali rispettivamente a destra, lo Sposalizio mistico di S. Caterina ed a sinistra l'Angelo Custode che protegge un bimbo dalle insidie del drago.
Eseguite dal comunanzese, naturalizzato romano, Antonio Amorosi, lo Sposalizio mistico è “Opera di elevata qualità pittorica" e va collocata nel periodo maturo della produzione dell'artista, ovvero entro la fine del secondo decennio del XVIII secolo, quando, in aderenza alle teorie classicistiche (…) il pittore tenta un adeguamento non esente dal garbo raffinato delle componenti arcadiche” (Virgili, 2003).
Nell'altare maggiore è posta la pala attribuita ad Ippolito Scarsella (1550 – 1620) rappresentante la Madonna con Bambino fra i Ss Lorenzo, Pietro, Benedetto e Giacomo (o Rocco) e committente identificato con la sigla G.L.F. L'opera si daterebbe intorno agli ultimi anni del ‘500 (fra il 1550-1600), secondo Volpe (1970) nel momento in cui “Per i vasti ed annuvolati paesaggi, entro i quali ambienta talora gli episodi sacri sono stati indicati rapporti con i paesisti nordici attivi a Venezia” (Sambo,1992).

Chiesa di S. Maria della Misericordia a pié d'Agello
La chiesa di Santa Maria alle falde del colle Agello ha, nella dedicazione alla Madonna della Misericordia o del Soccorso, il motivo della costruzione e dei numerosi e ripetuti lasciti testamentari per il suo mantenimento: la protezione contro la peste.
Notizie catastali si rilevano fin dal 1403, anche se risultava già “noviter aedificata” nell' anno 1420 come confermato da alcuni legati riportati in atti notarili del 1422 - 25. Nel 1437 si aggiungeva il loggiato esterno mentre ulteriori riadattamenti si eseguivano nel 1570, come annotato sull'architrave delle finestre laterali; nel 1617 si procedeva con l'allungamento del corpo e nel 1623 con la sopraelevazione dell'edificio.
Probabilmente nel corso di questi restauri, sostenuti dalla confraternita del Ss Rosario, che dal 1500 ne amministrava il patrimonio, venne ricoperta la pellicola pittorica che si sviluppava lungo le pareti e posto il quadro della Madonna del Rosario, opera del Bagnoli (1626), lo stesso che aveva affrescato la facciata dell'Oratorio del Ss Rosario in S. Francesco, sul fondo dell'abside, in modo da ricoprire completamente l'affresco della Dormitio Virginis.
Nel 1801 le condizioni strutturali dell'edificio erano talmente compromesse da convincere la Confraternita a destinare i materiali di una eventuale demolizione alla nascente Collegiata, ma in seguito al distacco fortuito dell'intonaco, nel 1814, riemerse alla luce il transito della Vergine e ciò suggerì un restauro della struttura, eseguito nel 1820; il risanamento completo degli affreschi e la riscoperta di altri sotto gli strati di calce è invece opera relativamente recente (1973).
Il panorama pittorico della chiesa aderisce perfettamente al motivo cardine della fondazione: la protezione dei fedeli contro le avversità. In effetti motivazioni votive si notano nelle diverse figurazioni di santi che affollano le pareti del santuario, esperienze artistiche provinciali eseguite da mestieranti attenti più a stupire che a sviluppare concetti, tanto da scivolare spesso in un espressionismo esagerato, quasi grottesco, intrisi da una sensibilità ancora tardogotica che si manifesta con l'impianto frontale delle figure, con l'uso di schemi iconografici già collaudati, con l'indugiare in racconti, pur trattandosi di maestranze umbro-marchigiane operanti nella seconda metà del ‘400.
Mano e datazione diversa è invece quella che ha raffigurato alcune immagini devozionali lungo la parete esterna, a lato della porta d'ingresso. Nel volto della Santa , a destra dell'entrata, si ravvisano le stesse caratteristiche della S. Lucia in S. Agostino di Norcia, eseguita da Giovanni Sparapane intorno agli anni 1460-66, così pure stilemi simili, definiscono la Madonna con in braccio il Bambino, subito accanto alla prima, in parte distrutta dall'apertura del portale d'ingresso (Antonelli, 1999).

Chiesa della Ss. Trinità
Un rogito datato 14 giugno 1265 sancisce la vendita di una chiesa dedicata a San Ruffino, sita nel breve pianoro del castel Agello, da parte del proprietario Ser Arpinello dei Conti Giberti al nascente Comune di Amandola.
Lo storico Ferranti (1891) suggerisce che sia stata edificata dagli stessi monaci benedettini che costruirono l'Abbazia dei Ss. Ruffino e Vitale, ma i rilievi documentali mostrano che la costruzione comprendeva ab origine anche l'abitazione dei monaci ed una vigna ai piedi di Agello, come risulta dalla vendita di questa al Comune nel 1277. Solo nel 1581 la chiesa acquisì definitivamente il titolo di SS. Trinità in seguito della costituzione della medesima Confraternita.
L'edificio mantiene tutte le caratteristiche di compattezza nella tessitura muraria in pietre e laterizio, come si addice ad una costruzione romanica.
Ad unica aula con volta a capriate, spessi contrafforti bilanciano le pareti laterali per mantenere la spinta contraria delle "catene" del tetto; fra queste lesene ampie finestre strombate, aperte nel 1576, permettono il passaggio di luce che rischiara la penombra dell'ambiente; la facciata reca un portale della stessa epoca e, soprastante, una finestra dallo sguancio accentuato.
Un campanile a vela si eleva a suggerire lo slancio verso l'alto della greve costruzione.
Nell'interno, a pianta rettangolare, l'altare ligneo dell'amandolese Simone Benattendi successivamente dorato dai fratelli Malpiedi, è composto da due ordini di colonne di cui quelle anteriori decorate "a racemi" mentre quelle posteriori, rastremate, sono decorate per un terzo della base, quindi scanalate. Capitelli corinzi sostengono l'architrave che fa da base al fregio interrotto da un cartiglio centrale dorato mentre il frontone chiude in alto la trabeazione su cui due angeli, che mantengono un encarpo, racchiudono in un piccolo timpano l'immagine dell'Eterno.
La pala d'altare è costituita dal Cristo agonizzante di fattura veneta (1620), in origine policromo, a cui fa da sfondo la sottostante immagine dei Ss. Ruffino e Vitale, del Malpiedi (1648).
Altri due altari sono disposti ai lati, quello non completato, mancante della doratura, è opera di Scipione Parisse o della sua bottega (1678), mentre quello di sinistra che racchiude l'affresco di Muzio Vannucci, amandolese, è datato 1606 e ripete la raffigurazione dei Ss. Ruffino e Vitale accanto alla Madonna in trono; dello stesso autore l'opera contrapposta datata 1600.
Due tele concludono l'arredamento: una Madonna con Bambino fra i Ss. Filippo e Desiderio e la Madonna con S. Antonio da Padova che intercede per la salvazione delle anime.

Museo Antropogeografico
Ospitato nei locali del Chiostro attiguo alla Chiesa di San Francesco, il Museo rafforza un legame ormai inscindibile tra il Parco Nazionale dei Monti Sibillini ed Amandola. All'interno del Museo è possibile conoscere nei minimi dettagli tutti gli aspetti propri del Parco Nazionale: un percorso per immagini e per testi, conducono il visitatore alla scoperta dei vari ambienti, della flora, della fauna, delle leggende, dell'arte, della storia e della cultura popolare.
Particolarmente affascinanti e precise le ricostruzioni delle attività dell'uomo, che con la sua presenza, ha provveduto a modellare e mantenere una natura meravigliosa.

Museo della civiltà contadina
Il Museo della civiltà contadina è ospitato nei locali al pianterreno del Chiostro attiguo alla Chiesa di San Francesco. Fu fondato a metà degli anni settanta, con lo scopo di far conoscere tutti gli aspetti della vita contadina. Oltre ad una vasta raccolta di strumenti ed arnesi utilizzati per lavorare, particolarmente importanti sono le ricostruzioni degli ambienti domestici, a testimonianza di come si svolgeva la giornata delle famiglie contadine. Apposite schede informano il visitatore sull'origine, sull'etimologia e sulla finalità di ogni singolo utensile.

Teatro La Fenice
La storia del teatro ad Amandola percorre sentieri simili a quelli dell'intera regione.
Se primi accenni di rappresentazioni profane possono individuarsi già verso la metà del quattrocento, ad Amandola, come nel resto del territorio regionale, i primi teatri stabili per un pubblico sensibile alla cultura ed alle novità dell'epoca risalgono alla metà del secolo successivo, i primi documenti riferiti dal Ferranti (1891), riguardanti la rappresentazione di S. Caterina, sono datati 1588 ma già quattro anni prima una richiesta di sovvenzione era stata inoltrata al Comune.
Sembra che una sala adibita a rappresentazioni teatrali fosse collocata all'interno del palazzo pretoriale ed un secolo dopo (1698) si sentì l'esigenza di un nuovo edificio più capiente e consono alle nuove mode di rappresentare.
Che l'esigenza di perseguire un programma teatrale e di mantenere e sviluppare un luogo deputato a ciò, sia stata sentita non solo dalla gioventù, ma dagli stessi amministratori pubblici si evince anche da un'altra Delibera del Consiglio comunale del febbraio 1714 e nel 1734 ulteriori restauri dovevano essere compiuti sull'edificio.
L'attuale assetto del Teatro La Fenice ricalca le innovazioni mutuate dai grandi teatri italiani verificatesi nell'ottocento con l'adozione di una pianta ellittica, come il Teatro dell'Aquila di Fermo e tre ordini di palchi sovrastati dal loggione a galleria con arcate definite da ringhiere a piastrini.
Sulla volta in prossimità del proscenio stucchi raffiguranti festoni, putti e medaglioni in stile neoclassico con contaminazioni liberty, le allegorie della Commedia e della Musica mentre al centro la figura della Musica, sovrastata dal Genio, completano la originale decorazione dell'amandolese Vincenzo Pascucci.
Il Teatro è rimasto chiuso dal 1958 sino ad oggi subendo un restauro iniziato nel 1991 e protrattosi sino ad oggi.

Torrione del Podestà
Il palazzo del podestà venne collocato sul poggio di Castel Leone, nell'area a maggior concentrazione amministrativo-economica e religiosa, ossia la Platea Comunis (l'odierna Piazza Alta) e lì completamente riedificato nel 1352 ( non si conosce la originaria ubicazione).
E' solo documentato un radicale restauro nel 1518 della torre comunale con l'adiacente palazzo mentre, la torre venne completamente ricostruita nel 1547. Sulla sua facciata si trasferì, nel '700, il grande orologio proveniente dal campanile della chiesa di S. Francesco.
 
Ponte sul Tenna
Con delibera del 30 luglio 1402 il Consiglio comunale stanziava una somma di 100 ducati "pro refactione pontis Tennae”, forse in parte demolito dagli stessi amandolesi per impedire il passaggio delle compagnie armate.Il ponte romanico-gotico, costruito a cavaliere sul fiume Tenna nell'antica via di accesso all'abitato, fu successivamente restaurato nel 1425 da mastro Savino di Stefano Pucci.

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